Regali di Natale

 

Qualche giorno fa lamentavamo come la discussione intorno agli “incendi di Natale”, potenzialmente ricca di spunti interessanti, fosse deragliata ancor prima di nascere. A più di una settimana di distanza e nonostante l’invito dei compagni di Bologna a farla ritornare sui binari la situazione ci sembra addirittura peggiorata. Proviamo allora a dare noi il nostro contributo: chissà se servirà. Una nota di metodo, prima di iniziare. Il “noi” che parla nello scritto che segue non è da riferirsi né ad un singolo con deliri di onnipotenza né a gruppi particolarmente allargati di compagni: a parlare sono semplicemente i redattori di //Macerie e storie di Torino//.

 

Sotto sotto una proposta

Ricominciamo daccapo. Nelle notti precedenti al Natale scorso, prima a Firenze e poi a Bologna, qualcuno dà fuoco ai cavi del meccanismo di gestione e controllo traffico della linea ad Alta Velocità. Materialmente i danni sono pochi, ma in tutti e due i casi il sistema va in tilt e dall’alba i ritardi si sommano ai ritardi – e questo è un danno grosso. Nessuno si fa male, né avrebbe potuto farsi male, semplicemente per due volte in pochi giorni la circolazione ferroviaria in quelle tratte è compromessa, a partire da quella dei treni super veloci.

Il collegamento tra questi fatti e la lotta contro il Tav sorge spontaneo, poiché ad andare a fuoco sono state proprio canaline e centraline della nuova linea; del resto sono alcuni anni che, in tutto lo stivale, grupponi di oppositori al treno armati di striscioni e bandiere invadono periodicamente i binari bloccando Frecciarossa, Frecciabianca e Frecciargento – o Tgv di passaggio -, a volte imbrattando le carrozze ma causando sempre ritardi a catena sulle linee. Non è fuori dal mondo che tra le migliaia e migliaia di oppositori al treno super veloce ci sia chi, questo Natale, abbia voluto sperimentare un modo diverso per ottenere lo stesso effetto di quei blocchi già tanto diffusi. Niente di particolarmente nuovo, tra l’altro: meno di un anno fa, dichiaratamente in solidarietà con gli arrestati del 9 dicembre, qualcuno ha bloccato la linea all’altezza di Roma lanciando sui cavi della corrente una catena con alle estremità dei mattoni e nessuno ha espresso sospetti particolari o ha avuto qualcosa da ridire.

Solo chi c’era può dire perché è successo quello che è successo, per carità, ma ci sembra tutto sommato una situazione limpida. Da parte loro i giornalisti e i politici hanno fatto il loro mestiere, e nel solito modo, alludendo a un terrore e a un terrorismo che non stanno né in cielo né in terra: dopo gli incendi di Natale gli utenti abituali dell’Alta Velocità non avranno certo paura a prendere quel treno, semmai sapranno che quel treno è talmente malvisto da… arrivare spesso in ritardo; chi ha subito i ritardi a catena sui treni “normali” pure non ha avuto alcun motivo di essere terrorizzato. In mezzo ai passeggeri ci sarà pure stato qualcuno che, solidale con la lotta contro il Tav, si sarà fatto una risata; e pure qualcuno soddisfatto di avere avuto una buona scusa per perdere qualche ora di lavoro. Gli altri, la maggioranza, si saranno semplicemente incazzati o saran rimasti indifferenti, come per tutti i blocchi fatti con striscioni e bandiere in questi anni: ma non basta certo una coincidenza di luogo, o di data, per alludere alla strage della stazione di Bologna, dell’Italicus o del Rapido 904, che son state terrorismo senza dubbio ma che c’entrano quanto i cavoli a merenda. L’intelligenza dei giornalisti, del resto, è fatto misterioso e insondabile e non è sempre facile capire dove finisca il ragionamento malevolo e la provocazione studiata (come questi accostamenti abusivi) e dove inizi la semplice sciattezza, la tendenza continua alla castroneria (come nel caso delle tag graffitare scambiate per “la rivendicazione dei No Tav”).

Per quanta confusione abbiano seminato giornali e politici, e soprattutto in assenza di elementi contrari che non ci sembra proprio ci siano in questo caso, non ha alcun senso domandarsi, come hanno fatto alcuni: «Ma sarà stato davvero “qualcuno dei nostri”? C’è qualcuno che invece trama nell’ombra?». Ha senso invece che ciascuno si domandi se in questi fatti non ci sia una proposta indirizzata anche a lui, e se questa proposta sia sensata, accettabile; se sia da difendere e rilanciare o, al contrario, da lasciar cadere nel vuoto.

 

Possibilità da cogliere, oppure no

Del resto un anno e mezzo fa è andata più o meno così. Ci si è svegliati una mattina con la notizia dell’attacco al cantiere del 13 maggio, con i giornalisti e i politici che strillavano e facevan confusione. La “notte del compressore” aveva in sé degli elementi di rottura – sia da un punto di vista organizzativo che della scelta degli strumenti pratici – rispetto a ciò che in quel momento il grosso del “movimento No Tav” era disposto a praticare e sostenere, ma anche di grande continuità: era un passo, una possibilità in più che evidentemente non poteva esser proposta, discussa e organizzata nelle assemblee popolari e nei coordinamenti dei comitati, ma che rispondeva (adeguatamente o meno, non è questo il punto da chiarire qui) a una necessità della lotta. Sta il fatto che qualcuno ha dato la propria lettura della situazione, ne ha discusso e si è organizzato con chi meglio preferiva, e la notte del 13 maggio 2013 ha fatto quel che doveva fare. Non era certo la prima volta che succedeva qualcosa del genere, ma forse mai con tanta forza. E come ha reagito, da parte sua, il “movimento No Tav”? Ha letto quella notte per quello che secondo noi era: una proposta. Tanto per essere chiari, quando parliamo di “movimento No Tav” lo facciamo nella unica accezione che ci piace di questo termine, vale a dire l’insieme vivo, multiforme e privo di una logica univoca di chi si oppone alla costruzione della linea del super-treno. Ed è per questo che non ci si poteva certo aspettare che quella proposta fosse accolta in maniera unanime, né univoca, né tantomeno definitiva. Dove e come verificare un’eventuale unanimità? Come evitare che della “notte del compressore” ciascuno cogliesse solo quel che voleva e poteva, o che magari accogliesse quella proposta obtorto collo per non rimanere fuori dai giochi? E, infine, siamo convinti che «indietro non si torna» è uno slogan che descrive bene fermezza e determinazione, ma non la realtà delle lotte dove si deve esser sempre disposti a ricominciare daccapo. Ma possiamo dire che, per lo meno nel suo aspetto più immediatamente pratico (l’uso del sabotaggio), quella proposta è stata giudicata cosa positiva da una fetta considerevole del movimento, e le parole d’ordine urlate a squarciagola dopo l’arresto di Chiara, Niccolò, Claudio e Mattia ci sembra lo dimostrino sufficientemente. Il suo aspetto di metodo, cioè la possibilità di organizzarsi al di fuori delle assemblee popolari e dei coordinamenti dei comitati, invece, è rimasto tutto sommato in ombra e possiamo dire non sia stato digerito fino in fondo: a volte è accettato, come nel caso dei sabotaggi avvenuti in Valle nell’estate del 2013 contro le ditte coinvolte nell’affare, a volte invece no. E l’aria che tira in questi giorni ci sembra dimostrarlo.

 

Se non ora…

Torniamo allora ai fatti di Natale. Secondo noi quegli incendi sono stati una buona idea. La linea ad Alta Velocità è, con espressione abusata e banalissima, un gigante dai piedi d’argilla: le truppe asserragliate nel cantiere di Chiomonte non possono certo bastare a sorvegliare centinaia e centinaia di chilometri di binari che, sparsi per tutto lo stivale, sono un po’ i nervi scoperti di una Grande Opera che non è odiata e non ha creato danni solo in Val di Susa. Con la lotta di questi anni i valsusini si son conquistati una simpatia, in tutta Italia, che tanto spesso si è tramutata in sostegno concreto e determinato; e c’è pure chi è contrario al Tav e disposto a battersi al di là delle vicende specifiche della lotta in Valle. Del resto, con le iniziative agli alberghi, alle ditte e i blocchi nelle stazioni, i luoghi nei quali si svolge la lotta si sono già sganciati dal solo cantiere per cui il salto non ci sembrava affatto incomprensibile e il suggerimento di quelle notti di Natale avrebbe potuto esser colto ancora, e altrove: la qualità di iniziative come quelle sta proprio nel loro potenziale aspetto quantitativo, nella possibilità cioè che, non risultando del tutto stonate rispetto al contesto né di difficilissima realizzazione, vengan riprese da altri e ripetute aumentando di incisività. È vero che iniziative come questa natalizia sfuggono, per loro natura, a una discussione preventiva pubblica e pongono pure dei problemi alla discussione nell’immediatezza del poi – giacché si deve sempre badare a che le proprie perplessità non finiscano per indicare ai questurini, per esclusione, i sospetti su cui indagare. Ma è vero pure che, se non ci si sentisse obbligati a rispondere a ogni strillo dei giornali, un modo per confrontarsi lo si potrebbe sempre trovare perché è sempre importante discutere e criticare; ed è vero anche che quando le proposte sono inadeguate ad una determinata situazione semplicemente non troveranno nessuno che le raccoglierà e moriranno da sé. E poi ci si dovrebbe rassegnare al fatto che il “movimento No Tav” non può essere una firma, né un solo contesto organizzativo, ma un insieme molto più vivo ed eterogeneo dove non per forza si deve esser tutti d’accordo e dove nessuno può pretendere di controllare tutto. Questa volta, poi, si è andati oltre con le affermazioni oggettivamente delatorie contenute in un breve post pubblicato da uno dei siti più seguiti del movimento. Affermazioni corrette dai loro stessi autori il giorno successivo, quando però erano ormai circolate ampiamente finendo pure sui giornali. Solo negli ultimissimi giorni gli autori hanno ammesso pubblicamente, sia durante delle assemblee che per iscritto, di aver fatto un errore. È importante che l’abbiano riconosciuto, dato che è fondamentale segnalare che non c’è foga polemica che giustifichi queste scivolate; e se l’avessero fatto prima ci saremmo evitati quella lunga serie di comunicati, redatti con toni e modi diversi, e a volte tutt’altro che precisi, che ne chiedeva loro conto. E si sarebbe potuto discutere di cose più interessanti.

Insomma, quegli incendi ci sembravano una buona idea a Natale e ci sembrano una buona idea anche adesso. Dopodiché, se quella che sembra una buona idea non funziona o non attecchisce ad un certo punto la si può anche metter da parte e… tenersela buona per quando potrà attecchire e funzionare. E forse proprio qui sta il punto. Ognuno di noi può valutare l’adeguatezza di una certa proposta ad una certa situazione e poi concludere: «bella questa idea, peccato che non sia questo il momento migliore». Ma poi l’impegno deve essere concentrato a far sì che si possa far domani quel che non si è potuto fare oggi, perché se alcune condizioni che rendono adeguato un fatto al contesto sono imprevedibili e del tutto sganciate dalla nostra volontà, altre invece dipendono anche da noi, dalla chiarezza dei nostri discorsi, dalla direzione nella quale decidiamo di spingere. Chi ha pensato che i sabotaggi di Natale fossero in teoria una buona idea, ma da mettere in pratica in un altro momento della lotta (magari durante uno dei picchi di combattività del movimento, come subito dopo la caduta di Luca dal traliccio o in alcuni momenti del processo ai quattro del 9 dicembre), se ora parla di quelle iniziative come di disprezzabili «straccetti imbevuti di benzina» non ne favorirà certo la riproposizione ma anzi ne allontanerà la messa in pratica all’infinito. Identico ragionamento si può fare per chi pensa che il sabotaggio sia sì un buono strumento, ma da utilizzare con il contagocce giacché forse non è stato ancora digerito dal grosso del movimento che lo ritiene utilizzabile solo contro il cantiere e le sue propaggini in Valle e non contro le linee che già funzionano: bisognerà allora trovare i modi per favorirne ulteriormente la digestione, con i discorsi e con le proposte pratiche. Ci sembra sia stato fatto l’esatto contrario: capiamo la foga polemica, ma qualcosa non ci torna.

Tutto qua? No, almeno per questa volta vorremmo indicarvi due fattori apparentemente opposti che stanno contribuendo, entrambi, a far mettere da parte troppo frettolosamente la proposta contenuta negli incendi di Natale: l’eterna teoria del complotto e la contrapposizione tra questi episodi e la lotta “in Valle”.

 

Trame oscure e riflessi condizionati 

Esiste in Italia una mentalità diffusa che vuol vedere sempre sotto la superficie delle cose trame nascoste e intelligenze occulte che hanno potere e capacità organizzative per mettere in atto ragionamenti spregiudicati e machiavellici. Ora, di grandi trame nascoste ce ne sono state e ce ne saranno ancora – Piazza Fontana ce l’ha tristemente insegnato. E ci sono e saranno pure sempre delle trame piccoline, fatte di meschini calcoli individuali, come nel caso recente dell’autista di Rinaudo. Ma, vivaddio!, non le si può trasformare nel motore del mondo o, più banalmente, nella chiave di lettura per tutto ciò che non si capisce o non si condivide. Se ci sono degli elementi concreti, fattivi, delle contraddizioni grosse e visibili nei fatti che accadono per come li possiamo conoscere… – passi!, che sorgano dei sospetti. Per fare un esempio semplice: lo scritto di Capodanno attribuito ai Noa, che snocciola a vanvera nomi di compagni, e minaccia, e promette senza nulla fare, è evidentemente una bufala buona per i giornali in vena di titoli roboanti (che sia una bufala studiata e organizzata o, più semplicemente, il parto sghembo di un mitomane non ci azzardiamo a dire). Ma nel caso degli incendi di Natale, l’unica cosa “strana” non sta nel fatto in sé, ma nella narrazione che ne han fatto i giornali, nella demenza manifesta con la quale han preparato le fotogallery con le tag graffitare. Ma che i giornalisti vengan selezionati per sciatteria e scarsa funzionalità delle sinapsi è un mistero che avevamo già svelato da qualche tempo. Oppure dovremmo dar retta al giudice Imposimato che, in virtù della sua lunga esperienza e dall’alto del suo profilo Facebook, ci informa che quegli incendi sono “strategia della tensione”: e chi gliel’ha detto, a costui? E in base a quali elementi, a quale ragionamento, di grazia? E accettare di dare spazio a lui oggi, non è un po’ come se in una qualsiasi lotta del futuro i nostri figli accettassero di farsi dar lezioni da Rinaudo? – con trent’anni di più, imbolsito e con la dentiera sarebbe certo un perfetto esperto di terrorismo…

Siamo seri. Non possiamo fornire alcuna ricetta preordinata per individuare bufale e provocazioni e separare a colpo sicuro, come si dice, il grano dal loglio. Ma pensiamo che come non ce l’abbiamo noi non ce l’abbia nessun altro. Poi è vero: i desideri influenzano lo sguardo, e la fiducia che abbiamo noi nell’iniziativa anche individuale, nella determinazione anche sparpagliata di chi ha voglia di buttarsi nella battaglia contro il super-treno, può giocare brutti scherzi e farci prendere lucciole per lanterne. Ma l’atteggiamento contrario, quello un po’ stitico di chi pretenderebbe che tutto passi sotto il suo controllo preventivo, quello di chi vorrebbe che accadano solo i fatti che lui ritiene opportuno che accadano, ci sembra sortisca effetti peggiori, visto che contribuisce a tarpar le ali a delle possibilità di lotta che poi possono servire a tutti; oppure, il che è più o meno lo stesso, a impedire la discussione su proposte che, come può pure succedere, sono semplicemente sbagliate o mal poste.

Non saranno certo queste poche righe a convertire i complottisti ad ogni costo, ne siamo consapevoli, e siamo pure consapevoli che questa mentalità sospettosa che critichiamo è molto radicata, non affatto esclusiva di gente in malafede: basta farsi un giro nei contesti in cui le lotte riescono a coinvolgere non solo i soliti militanti più o meno professionali ma gente comune, nei contesti in cui il tessersi delle lotte rende possibili discussioni dirette scansando per un attimo il fantasma della “opinione pubblica”, per rendersi conto che l’ipotesi del complotto è un riflesso condizionato che scatta ogni volta che succedono cose che si stenta a comprendere e a condividere. È per questo che chi, come noi, critica questa mentalità, dovrebbe smetterla di urlare, con il sangue agli occhi, «politicante paraculo!» ogni volta che periodicamente la vede riemergere. Non perché non ci sia chi le dà spazio per mero calcolo politico e non per convinzione propria, con l’unico intento di squalificare pratiche che non ritiene opportune in generale o in determinati momenti: c’è, c’è eccome, e continuerà a farlo fintanto che troverà terreno fertile negli ambiti di lotta. E su quel terreno possiamo intervenire solo se sapremo da un lato criticare quel riflesso condizionato e, contemporaneamente, spingere verso la comprensione critica di quei fatti che l’hanno fatto scattare.

 

Chiusi in canonica

Certo è che identico danno rischiano di farlo, paradossalmente, anche alcuni dei difensori più strenui di questi incendi natalizi. Già, perché, in mezzo a questo calderone, c’è pure chi ha voluto cogliere una contrapposizione netta, nettissima, tra la lotta in Valle e i sabotaggi di Bologna e Firenze: lassù fa tutto schifo, è stato detto, e quei sabotaggi sono un buon modo di non starsene con le mani in mano ma a distanza di sicurezza. Lassù, in montagna, parlamentari, sindaci, magistrati, scrittori imbronciati e scivolosi e ogni risma di animali politici; laggiù, lungo i binari di notte, chi è contro il super-treno ma pure contro il Parlamento, i Municipi, i Tribunali, gli artisti engagés, la bassa politica dei gruppuscoli e chi più ne ha più ne metta. Insomma, gli anonimi e sconosciuti sabotatori natalizi la loro proposta l’avrebbero fatta… agli anarchici! – e neanche a tutti giacché se su Parlamento, Municipi e Tribunali gli anarchici son d’accordo tra di loro, sull’arte e sulla militanza il dibattito è ancora aperto. Se la proposta è questa, è scontato che non si possa allargare più di tanto né tanto meno “tracimare”: gli anarchici sono quelli che sono, hanno le forze che hanno, e il grosso della gente del “movimento No Tav” sui quei temi ha le posizioni più varie e disparate e quindi ne rimarrebbe per forza di cose tagliata fuori. Certo, non c’è mica solo il “movimento No Tav”! Ma non vediamo proprio come e perché uno sfruttato di San Zenone al Lambro, coi coglioni gonfi per una vita di sfruttamento, determinato finalmente a combattere ma del tutto ignaro dei dibattiti di movimento, debba in un impeto di rabbia riprendere questi buoni esempi natalizi. Andrà, molto più probabilmente, a dare una testata al responsabile di Equitalia del suo paese o al suo capo al lavoro: farà cosa buona e giusta, dando magari un esempio contagioso pronto a diffondersi a macchia d’olio e senz’altro da sostenere ma… è un’altra cosa.

Chiariamoci: non siam mica contrari al fatto che gli anarchici, sul Tav o su altro, si facciano vicendevolmente delle proposte, anche in questo modo e anche a distanza. Ma poi non ci si può aspettare che succeda altro oltre a ciò che gli anarchici sono in grado di determinare direttamente. In questo caso: qualche trillo, un po’ di scampanellii… – siam forse carenti in carità di Patria, ma le campane a stormo tenderemmo ad escluderle.

Come sempre, ognuno vede nelle cose quel che ci vuol vedere. E noi negli incendi di Natale ci abbiam voluto vedere una proposta diretta al “movimento No Tav” – che, per fortuna!, è qualcosa di diverso dalla semplice sommatoria di gruppetti politici -, proposta che avrebbe potuto essere accolta e, chissà, forse pure tracimare; se era così, chi ci ha appiccicato sopra quella contrapposizione sicuramente non le ha fatto un buon servizio, contribuendo a rinchiuderla in una disputa tra parrocchie militanti: e le campane di queste parrocchie sì che han suonato a stormo in questi giorni.