A proposito di Agopuntura

 

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Vi proponiamo un approfondimento audio di Macerie su Macerie, in onda su Radio Blackout, che riprende il filo dell’analisi del piano per le periferie della nuova giunta Appendino, non prima però di qualche chiarimento nero su bianco.
Qualche giorno fa ci siamo imbattuti in un articolo di Repubblica che elencava le gioie e i dolori del mercato immobiliare districandosi nella constatazione di svalutazioni e rivalutazioni degli alloggi nei vari quartieri della città di Torino. Se dieci anni fa hai comprato casa a San Salvario puoi ritenerti fortunato, diversamente vale per quartieri come Aurora o Barriera di Milano dove il valore immobiliare è precipitato. Per chi guarda a queste oscillazioni senza l’occhio del profitto ma per capire quanto insidiosa e gravosa potrebbe diventare la propria sopravvivenza quotidiana in certi pezzi di città, può essere interessante mettere sotto la lente d’ingrandimento alcune punture che sulla mappa del territorio urbano sembrano iniettare flussi di denaro coi suoi nuovi portatori.

Sempre Repubblica ci offre un ulteriore spunto raccontandoci di come la nuova sede dirigenziale della Lavazza S.p.A. in fase di ultimazione in via Bologna, coi suoi 600 impiegati, porterà nuova linfa al circondario, e con essa un aumento dei prezzi immobiliari della zona. Non è la previsione di un futuro lontano, anzi. Nuove architetture basate su moduli loft sbucano fuori come funghi là intorno alla “Nuvola” e il loro prezzo al metro quadro risulta quadruplicato rispetto al resto del quartiere.
Abbiamo raccontato più volte dell’andamento dei processi di riqualificazione che hanno stravolto l’assetto delle direttrici della città con nuove spine infrastrutturali e snodi produttivi lontani dalla porta delle fabbriche. Un processo continuo, che ha avuto una grossa spinta con le ingenti rimodulazioni dello spazio sotto l’egida del centro-sinistra e che oggi vede la sua continuazione, con una fase successiva, nell’agopuntura del nuovo piano-periferie dell’amministrazione 5 Stelle.
È importante sottolineare che la nostra lettura del programma pentastellato non è così ingenua da prendere paro paro la descrizione degli interventi pensando che corrispondano al vero. Dobbiamo mettere in conto una buona dose di propaganda che s’accompagna a questa e a ogni progettualità politica, ma sarebbe altresì ingenuo non considerare seriamente come le procedure di controllo, selezione, organizzazione, distribuzione della produzione dei discorsi siano tra i metodi fondamentali di questo tempo per governare la popolazione. Capire quale sarà il limite tra ciò che compete solo l’evanescenza delle parole politiche e cosa si traduce materialmente in nuovi apparati di sfruttamento sarà compito di ogni nemico delle amministrazioni da qui ai prossimi anni.

Andiamo ora al dunque e carte alla mano partiamo dal primo dei cinque assi tematici: Spazio pubblico. A parte l’installazione di nuove stazioni di Bike sharing, come ben immaginabile cinque su sette a Torino nord, tutte le azioni pensate per questo punto specifico un tempo sarebbero rientrate nell’ordinaria amministrazione comunale: messa in sicurezza degli edifici scolastici, il rifacimento del manto stradale, la manutenzione dei mercati rionali e il rinnovo delle aree gioco per bambini. Oggi tutto ciò viene invece presentato come intervento extraordinario anche se – a dire il vero – c’è una novità rispetto al passato. Gli interventi non vengono descritti solo nella loro fattività, per come cambieranno o rinnoverano lo spazio in questione, essi prevedono che dopo la fine dei lavori siano le persone, nel loro interesse, a doversi occupare della manutenzione. La gestione delle risorse è molto diversa da quella che ha caratterizzato buona parte del ‘900 e viene oggi chiesto che gli abitanti si prendano in carico negli anni  il progetto. Lo chiamano “patto di gestione” per la cura dell’area, il quale è stato formalizzato dal Regolamento dei Beni Comuni dalla giunta Fassino lo scorso gennaio. Ai più potrà sembrare un modo per riconquistare agibilità organizzativa dal basso, ma a ben vedere ha lo scopo esplicitato di mantenere “gradevoli” gli spazi urbani per chi li abita ma ancor di più per sollecitare gli investimenti economici nelle aree marginali. In soldoni si tratta di un lavoro continuo chiesto alle persone per rendere attraente la città a partire da un piccolo investimento iniziale pubblico. Tener sempre il terreno preparato per interessi privati che lo rendano profittevole, con buona pace di quelli di cui potrebbero essere portatori tutti gli abitanti senza possibilità o smanie imprenditoriali, è ormai un modus operandi rodato.
Sarebbe comunque riduttivo osservare solo questo lato della medaglia e non cogliere quello prettamente amministrativo e disciplinante: uno degli obiettivi è quello di individuare nelle aree di interesse “cittadini attivi” con cui intrecciare una collaborazione ordinaria che rappresenti un riverbero informale del governo comunale, un controllo della situazione che dovrebbe passare per gli occhi attenti di abitanti più diligenti di altri. E così gli atti di vandalismo, il cosiddetto uso improprio dello spazio e l’incuria diventata responsabilità di tutti i cittadini saranno meglio monitorati e in teoria sottoposti a un controllo dotato di maggiore deterrenza perché ha la faccia del tuo vicino di casa.

Quest’ultima questione merita un approfondimento, facciamo un salto rispetto all’andamento del programma e passiamo direttamente all’asse n. 5: Comunità e partecipazione.
Il testo si perde in una descrizione generica quanto enfatica dei vari interventi specifici ma le parole scelte tradiscono una mancanza di partenza che da tempo il governo e i suoi attori cercano di colmare. È come se con tutta una serie di nuovi progetti e progettini di “cittadinanza attiva” si cerchi di attutire un senso di estraneità allo Stato che si è sviluppato in certi quartieri periferici, parallelo allo svuotamento di quelle strutture che in passato ne costituivano il senso e la funzione sociale (in primis le fabbriche della vecchia Torino industriale) e che davano al governo una presa diretta sul territorio.
Per non essere anche noi troppo generici possiamo vedere come si sviluppa questa tecnica in alcuni degli interventi descritti nel testo.
MiraMap, che dovrà svilupparsi nella zona di Mirafiori sud, già nel sottotitolo condensa il succo del discorso: segnala, collabora, progetta. Una parabola di partecipazione che ha in sé una grossa funzione addomesticatrice, che intende prima sfruttare l’aspetto di prossimità dei cittadini rispetto alle aree problematiche favorendo per esempio il fatto che raccolgano e inoltrino informazioni riguardo a qualsiasi bisogno percepito nel quartiere: dai marciapiedi dissestati alle vie poco illuminate, dai cumuli di spazzatura fino alla segnalazione di punti di ritrovo sospetti. Successivamente, agevolando una continuazione nella collaborazione con i cittadini, far diventare il Crowdmapping una piattaforma permanente ed estensibile al resto della città.
Un altro progetto che procede a piè spedito è quello delle Case di Quartiere: nate come “occasioni di socializzazione” tra vicini di quartiere per favorire l’incontro di bisogni e la creazione di servizi gratuiti, sono di fatto l’emanzione del potere ammistrativo. A discapito di tanti proclami sull’autonomia di questi centri, i governanti locali stanno ad ora ragionando su “un’ipotesi di struttura organizzativa per la governance della Rete” delle nove Case.
Guardando la questione dal punto che più ci interessa, pare che la tecnica partecipativa abbia lo scopo di eliminare dalla testa delle persone l’idea stessa di conflitto e di lotta, non solo come rottura netta contro la strutturazione della vita imposta, ma anche solo come mezzo per ottenere qualcosa e migliorare le proprie condizioni. Assorbire ogni tensione e malessere all’interno di un organigramma che, per quanto diffuso, prevederà la creazione di figure di riferimento e una comunicazione verticale con l’amministrazione.
È nell’intervento “Cura dei beni comuni” che la “partecipazione” cade come velo e mostra il suo succo materiale, il suo vincolo più fisico e tangibile: il lavoro. Dietro alla retorica affettiva, dietro all’idea che occorra recuperare il rispetto e l’amore per il posto in cui si vive e con essi anche la cura diretta, emerge una forma di subappalto diffuso e gratuito, o a basso costo, delle vecchie funzioni di mantenimento degli spazi pubblici che aveva il potere amministrativo. Giardinetti e aree verdi, sale comuni e di ritrovo, non saranno più frutto di ciò che lo Stato offre alle persone in cambio del loro lavoro da sfruttati ma essi stessi una forma di sfruttamento con il “volontariato” di rifugiati o cittadini disoccupati che dovranno farsene carico.

Sullo stesso solco si delineano gli altri assi tematici come quello della Casa, il quale prevede una manutenzione straordinaria di alcune unità abitative dell’ATC a cui dovrebbe seguire la presa in carico della struttura negli anni a venire da parte delle persone. Che significa? Che l’alloggio popolare di cui usufruiscono, al di là delle possibilità risicate, diventa strutturalmente una responsabilità senza però averne la proprietà e dovendo seguire gli standard architettonici che il Comune esige. Niente di nuovo, d’altronde, rispetto a quanto già disposto nel Piano Casa nazionale. Un altro fine di questo asse è quello di ottenere una rivalutazione immobiliare e di conseguenza un “risanamento socio-culturale” delle persone che usufruiscono del servizio. Non hanno certo remore a utilizzare termini meschini come risanamento, e dobbiamo ammettere che ci troviamo talvolta una squallida sincerità.
Il terzo e il quarto asse sono quelli che riguardano Lavoro/Innovazione e Scuola/Cultura. Queste pagine nello specifico non sono altro che un’accozzaglia fumosa di retoriche sul valore dello scambio dei saperi, l’importanza della promozione della cultura dell’imprenditorialità e l’agevolamento della nascita delle Start up nelle periferie. Pare che i Cinque Stelle siano i più grandi fan del Partito Democratico e gli abbiano preso tutto un universo di parole sull’economia immateriale, ma non altrettanto l’attenzione per quei pezzi di produzione materiale come la logistica e le piccole fabbriche rimaste proprio in periferia, colonne portanti di questa città sempre in bilico sul tracollo finanziario. Ma non vorremmo sottovalutare velocemente il nuovo nemico  e sperare troppo a cuor leggero della sua incapacità. La bocconiana Appendino – ahinoi – è scaltra e certamente ben inserità nella rete di conoscenze degli industriali sabaudi.
Staremo a vedere. Intanto riportiamo l’unico intervento veramente degno di nota, quello del valore di quattordici milioni di euro per le Ex Officine Incet dietro via Cigna. Stilato con attenzione e minuzia di particolari, esso prevede nuovi loft residenziali, un polo per l’innovazione e un avamposto del Food&Beverage con produzione e rivendita di birra e prodotti artigianali per i giovani e intraprendenti abitanti con cui si vorrebbe riempire il pezzo di città da Porta Palazzo in su.
Del resto che l’intervento di agopuntura più esoso sia a Torino nord, che la maggior parte delle azioni di questo programma-periferie siano pensate per questa parte di città, non fa che confermare molte delle nostre preoccupazioni ma alimenta anche la nostra rabbia verso sistemi di governance sempre più invasivi nonostante la coltre edulcorata.
Ma già ci siamo dilungati a sufficienza in questa anticipazione, vi lasciamo ora all’ascolto del contributo audio complementare, diviso in due parti.

[audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2016/09/agopunture-parte1.mp3] [audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2016/09/agopunture-parte2.mp3]