Alcuni No, uno sciopero e degli esami del Dna

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Quando si finisce incastrati nelle maglie della Giustizia capita spesso di dover fare i conti con attese estenuanti dovute a ragioni burocratiche, e del resto la burocrazia altro non è se non l’architettura grazie alla quale è possibile l’esercizio della Legge. Ragioni che per di più vengono tradotte in una lingua tanto difficile da comprendere quanto legnosa.

Ma se anche si impara ad orientarsi in questo ambiente freddo e ostile non è sempre possibile comprendere cosa ci si possa aspettare.

Nel micromondo delle misure cautelari è ad esempio capitato che nelle ultime settimane sia i compagni in carcere che ai domiciliari abbiano fatto delle istanze al giudice. La togata Arianna Busato ha messo all’opera la banalità del suo potere sui ritmi delle vite sottoposte a misure e ha deciso di dire di No a qualsiasi richiesta poiché la Digos non ha fatto i dovuti accertamenti. Per questo, la figlia e la nipotina del compagno che ospita Camille non possono passare da casa e i suoi parenti non possono chiamarla, a Giada è stato negato di andare a sostenere un esame in università e non vengono dati i permessi per parlare telefonicamente con i suoi familiari, e anche a Fabiola è negato l’incontro e qualsiasi comunicazione con i suoi cari.

Per gli stessi motivi i compagni rimangono rinchiusi nel carcere delle Vallette. Una prima istanza al Tribunale del Riesame è stata respinta perché le case presentate per gli arresti domiciliari non erano state ritenute idonee e l’istanza successiva ha poi ottenuto lo stesso risultato perché le abitazioni segnalate non sono state controllate dalla polizia politica. Di conseguenza la Procura ha espresso parere negativo e di conseguenza anche la Dott.ssa Busato ha potuto lavarsene bellamente le mani.

E se è lecito pensare che quanto accaduto sia uno sgarro dei digossini, sollecitati magari dai loro cugini dell’Arma che si sono legati al dito i fatti del febbraio scorso, a guardarsi bene attorno è facile accorgersi che si tratta di una situazione per nulla straordinaria ma connaturata piuttosto alla banale malignità di un sistema burocratico che decide della punizione altrui. Nel marzo appena passato è successo per esempio che un detenuto sia stato dimenticato ai domiciliari per 78 giorni da un magistrato che stava pensando al proprio passaggio d’incarico imminente, e quest’uomo è rimasto quindi rinchiuso in casa per quasi tre mesi finchè il fascicolo non è stato portato in un altro ufficio nelle mani di un altro magistrato.

Sia quale sia la regione di queste non-decisioni del giudice Busato, questi No impressi sulle carte in maniera tanto sfacciata fanno sfrigolare il sangue a chi rimane chiuso dentro una cella o dentro quattro mura domestiche e a chi con loro ne subisce le conseguenze. Ed è anche per questo che Antonio Rizzo ha deciso di fare uno sciopero della fame di alcuni giorni. Lo sciopero è cominciato l’altro ieri giovedì 8 giugno – e ve ne diamo notizia solo ora per la lentezza della comunicazione con chi è rinchiuso – e si concluderà dopodomani, lunedì 12 giugno. Antonio ha deciso di rifiutare il cibo per sostenere Fran nella sua protesta – che non sapeva ancora fosse terminata-  e per contestare il prolungamento della propria detenzione.

Last but not least, una notizia contenuta nei verbali dei carabinieri notificati agli imputati; i gendarmi di Borgo Dora nel corso delle indagini avrebbero fatto prelevare con alcuni “bastoncini cotonati, eventuali tracce biologiche dalle loro autovetture” alla ricerca di tracce di Dna, e con alcuni “supporti adesivi eventuali impronte papillari digitali”. Ricerche non abituali per reati di questo tipo.

Viene da domandarsi se ciò dipenda dalle specificità di questo episodio, o se non dovremo piuttosto abituarci a che queste analisi diventino una routine nelle indagini delle forze dell’ordine.